San Venanzo

Sull’orma di racconti la cui attendibilità è legata a narrazioni più o meno fantasiose tramandate dalla tradizione popolare, nella sanguinosa rivalità fra i diversi rami della famiglia Monaldeschi è utile ricordare due aneddoti: Nel 1351 i Monaldeschi della Cervara (ramo del cervo) fecero catturare un giovane del ramo della vipera sospettato di insidiare una ragazza della propria fazione, lo uccisero brutalmente nei sotterranei del Castello di Torre Alfina e ridussero poi il suo corpo in pezzi così piccoli da farne cibo per i falconi. Un altro episodio delle lotte fratricide fra i Monaldeschi riguarda quello per i continui furti di bestiame fra Corrado Monaldeschi e Pietro dell’Angus la cui appendice (angus = serpente) tradisce l’appartenenza al ramo della vipera già presente nel territorio come dominatori del castello di Pornello. Nel poemetto di Luciana Bonaparte che narra le gesta della “Bella Imperia” (Imperia di Montemarte, vedova di Corrado, fu reale signora di Collelungo intorno al 1450 ed è tramandata dalla leggenda come fantasma dello stesso castello), l’irascibile Corrado va fuori di sé alla vista del cadavere insanguinato del fido scudiero inviato a Pietro per chiedere conto dei furti e si vendica costringendo l’odiato consanguineo alla fuga e dando alle fiamme il di lui maniero di Castelvecchio.
Alla dinastia dei Conti Faina va il grande merito di tutte quelle opere per le quali ai riconoscimenti internazionali seguirono poi: un grande arricchimento della famiglia i cui possedimenti si estendevano da Perugia fino alla maremma toscana, la scalata per il controllo di Banche e seggi politici e, da ultimo, la sfrenata ambizione di dotarsi di una prestigiosa villa di nuova concezione all’altezza dell’acquisito ceto nobiliare. Il Conte Eugenio, una volta divenuto senatore, se ne fece carico con grande determinazione ed orientando opportunamente le delibere del Consiglio Comunale, che aveva già fatto abbattere le due porte di accesso al paese, nel giro di circa otto anni riuscì nell’intento di: impossessarsi della parte dominante del castello, abbattere quasi per intero le mura di cinta e le abitazioni, costruire all’esterno una scuderia con il maneggio per cavalli e le casette per gli operai, demolire la vecchia chiesa per farne un laghetto e favorirne la costruzione di una nuova nella parte più bassa, allargare la base dello spazio interno con la costruzione delle cantine e racchiudere infine entro una recinzione il nuovo palazzo di stile ottocentesco, la serra, i giardini della villa così come la vediamo oggi svettare sul vero e proprio orto botanico del boschetto sottostante.

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